Il
Gazzettino 6 ottobre 2007
Intervista al prof. Giovanni sarpellon di Adriano Favaro
Di se stesso ha detto molte volte, scherzando: «Sono "il De
Rita" dei poveri». Sociologo, docente a Udine e Venezia, Giovanni
Sarpellon è stata la prima persona, in Italia, ad interessarsi,
scientificamente, di povertà: per anni è stato il responsabile della
Commissione d'indagine su povertà ed emarginazione costituita dalla presidenza
del Consiglio dei ministri. Quando - erano gli anni Ottanta - la parola povertà
non esisteva nelle statistiche dell'Istat, e quando le indagini lui e i suoi le
facevano sui redditi veri, non le presunzioni di una dichiarazione al Fisco.
Sarpellon ha fatto scoprire al nostro Paese un'immagine di se che non credeva
di possedere. E adesso professore? «Purtroppo - risponde amaro - non vedo
niente di nuovo: la notizia è questa».
Perché questo Paese tra i primi al mondo per produttività e
reddito si scopre "povero"?
«Perché sulla povertà aveva ragione Gesù Cristo: "i poveri li
avrete sempre con voi" diceva. Perché magari cambiano le persone povere,
ma la struttura della disuguaglianza, cioè il fatto che alcuno abbia di più e
altri di meno, resta indipendente dal livello del reddito».
Trent'anni fa...
«Il livello medio di ricchezza era più basso, ma esisteva una
uguale struttura della disuguaglianza (anche allora c'erano otto milioni di
poveri). Oggi siamo "più ricchi", ma la distanza non cambia: la
povertà è sempre un confronto tra gli altri. Questa non è cosa facile da
digerire...».
Antidoto alla povertà?
«Il solo che io conosca (ed è "impossibile") è quello
che la gente dica: ne abbiamo abbastanza, basta, fermiamoci! Ma non succede, ne
ora nè mai. Una pena di Sisifo: si sale e poi si rotola giù per risalire».
Chi vive questo "disagio economico"? (voi studiosi
chiamavate così la povertà).
«Negli anni '90 erano famiglie con basse fasce di reddito, con più
figli, un solo reddito dipendente o pensione minima. Non è cambiato niente. Si
è aggravata la condizione di parte dei lavoratori dipendenti».
Colpa?
«Dell'euro. Per alcuni vale mille lire per altri duemila. Chi sta
dalla parte delle mille lire soffre».
Quindici anni fa mancava una legge sull'assistenza.
«È stata fatta. L'assistenza è migliore rispetto ad allora, ma non
abbastanza per assistere i poveri. L'esperimento del "reddito minimo di
reinserimento", anche se non andava male, è stato chiuso»
Perché?
«Costava troppo, si dava denaro accompagnando le persone ad un
reinserimento sociale. Dare denaro è facile, difficile reinserire le persone
nel mercato del lavoro, non esistevano a operatori sociali qualificati».
Chi ha maggiori probabilità di diventare povero?
«Una volta erano gli anziani. Nei dati di quest'anno c'è una
novità: le condizioni degli anziani erano migliorate negli anni scorsi. Adesso
sono tornati a rischio, sempre per quell'euro. E un anziano non riesce a
integrare il proprio reddito».
Il Friuli in testa tra le regioni del Nord per la povertà: 8 per
cento. Veneto al 5, contro il 3,9 dell'Emilia Romagna.
«Il Nordest è fatto di piccoli e bravissimi imprenditori, gente
molto attiva (spesso ricca). Ma c'è anche l'altro mondo, quello della gente
normale, impiegati, operai; senza l'iniziativa personale che ha trasformato
quest'area nel "mitico nordest"».
E la difficoltà colpisce la famiglia intera.
«Questo dato è probabilmente legato al fatto che ci siano tante
famiglie con una sola persona che lavora. Oggi quelle famiglie fanno fatica. È
la vera discriminante. La soglia di povertà quest'anno è poco meno di mille
euro per due persone. Con uno stipendio di mille euro sei povero. La povertà è
essenzialmente un fatto familiare».
Vivendo in città...
«A Venezia un chilo di pane va 5 a 7 euro e il latte mi costa 30 o
40 centesimi in più da quello che trovo in montagna...».
Questa povertà "silenziosa e invisibile" è anche un
fallimento della politica e della solidarietà che questa aerea invece ha spesso
praticato e invocato?
«Credo che la politica guardi essenzialmente al ceto medio. In
questi ultimi anni è sempre più alla ricerca di consenso: cerca di capire cosa
la maggior parte della gente che ti vota vorrebbe. Se le cose stanno così non è
interessata al chi non conta. Un paradosso. Ma è proprio il meccanismo
democratico - che ti impone di avere un largo consenso - che ti obbliga a
cercare le proposte che assicurano consenso».
Nemmeno la cultura della solidarietà ha dato una risposta
differente?
«No. E guardando la tv mi domando se questa cultura cattolica e di
solidarietà esista ancora. È esistita, sì. Ma al passato. Non è più cultura
dominante. Un parallelo si può fare col Nordest il cui splendore comincia a
diventare opaco. E si vede nelle fasce più deboli. Chiude un'azienda di nicchia
qui? Chi perde un'occupazione ora fa difficoltà ad inserirsi: e la possibilità
di uscire dal mercato del lavoro è stata vasta in questi anni».